Nicola è alla sua terza barca Tuccoli. Toscano, diportista sin da ragazzo quando usciva in mare con un Flying Junior, o quando andava a pesca con un pattino motorizzato con un fuoribordo Seagull e un palo della luce a fare da sostegno per la rete («Andava come le mine!», ricorda entusiasta). Pescatore e conoscitore appassionato di barche è innamorato dell’isola di Capraia e dei suoi Tuccoli. Il T35 con cui ha navigato sin di recente, «ma diventando grande avevo bisogno di una barca un po’ più piccola, meno impegnativa quando si tratta di manovrare e gestirsela da soli, sino al T 280 EB, pronto per essere allestito nel cantiere di Collesalvetti. Nicola il mare lo vive tutto l’anno, sia per pescare sia per navigazioni più a lungo raggio in Mediterraneo. Spesso navigando in dislocamento: «Mi sposto in planata solo per necessità, per sfuggire al maltempo o quando mi sono trattenuto troppo a pescare e devo tornare in porto velocemente. E in quei casi mi fa piacere avere una carena che ti consenta di navigare bene nei nostri mari. Ma in genere io mi sposto a velocità da barca a vela. Sei, sette nodi. Ti godi il viaggio, consumi pochissimo gasolio e quindi allunghi le autonomie, se vuoi cucini in serenità… perché dovrei voler correre sempre?».
Insomma un diportista che ama stare in mare e navigare più che la barca come oggetto del desiderio fine a se stesso. Che cosa ti rende un armatore così entusiasta dei Tuccoli, tanto da farti ribadire la scelta del marchio per la terza volta? «Perché secondo me è la migliore barca del mondo per navigare dove navigo io, i mari del Mediterraneo. Prima di prendere il T280 motorizzato entrobordo, ho provato anche barche di altri cantieri, ovviamente. Anche molti fisherman americani: Ce ne sono di bellissimi e che navigano perfettamente, finché non c’è mare. Ma quando poi si incontra la nostra onda secca e ripida allora la musica cambia. La barca americana rimane sull’onda, resta molto asciutta in coperta, ma sbatte tanto. È un continuo susseguirsi di colpi e microcolpi che io accuso tantissimo, specialmente da quando sono diventato più sensibile alla mia cervicale… Tutti i Tuccoli che ho provato, invece, tagliano i frangenti in maniera più decisa, ci entrano dentro con un minor beccheggio. Certo, sono più bagnati, ma anche più comodi. Dietro alla consolle di guida sei comunque asciutto e hai il tergicristallo, ma il fastidio delle botte, se arrivano, non te lo può levare nessuno».
Hai scelto un T 280 motorizzato entrobordo, perché? «I fuoribordo hanno dei vantaggi, certo, costano meno, si raggiungono più facilmente e hanno bisogno di meno manutenzione, anche se consumano un po’ di più. Però sono là in fondo, dietro allo specchio di poppa. Il baricentro della barca con entrobordo è più equilibrato. La spinta è più vicina al centro di carena. I fuoribordo, che con mare vanno trimmati al massimo, quando si naviga con mare di prua instaurano un effetto pendolo dovuto alla spinta verso l’alto data dalle onde ai volumi anteriori e alla spinta in basso dell’elica totalmente trimmata. Preferisco la linea d’asse.
Ma non ti fa gola il volume che si libera in barca spostando la sala macchine fuori bordo?
«No, perché non amo portarmi dietro cose inutili. Per come è realizzata la barca posso metterci già tutto quello di cui ho bisogno anche con una sola cabina. Se ho un gavone in più va a finire che si riempi di ciarpame inutile che aumenta solo il peso».
Vorresti una barca più leggera, i Tuccoli non pesano poco…
«I Tuccoli pesano quello che devono pesare. Sono surdimensionati rispetto a quel che si vede normalmente oggi e questo garantisce una longevità estrema. Il mio primo Tuccoli è del 98 e ancora oggi naviga perfettamente e dimostra un decimo degli anni che ha. Nonostante sia stato utilizzato tantissimo. Chi ha conosciuto Ivano e Marco (Tuccoli, ndr) sa che omoni sono, fisicamente parlando. Ecco, hanno applicato lo stesso principio dimensionale alle strutture delle loro barche. E questo non può essere che un vantaggio».